Con la Delibera n. 363 del 3 Agosto 2023, l’Autorità per le Reti, l’Energia e l’Ambiente (ARERA), aveva fissato una tassonomia degli impianti di chiusura del ciclo dei rifiuti, articolandoli in “intermedi”, “aggiuntivi” e “minimi”. Il Consiglio di Stato (CdS) si è espresso contro uno dei cinque pronunciamenti avversi del TAR, quello dell’Emilia-Romagna.
I pronunciamenti del TAR Lombardia ed Emilia-Romagna: come si è arrivati alla sentenza da parte del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato si è espresso sulla classificazione degli impianti stabilita da ARERA con Delibera n. 363/2021, ed in particolare sui c.d. “minimi”, andando a respingere il ricorso della Regione Emilia-Romagna contro l’annullamento della delibera regionale che, così prescrivendo, aveva sottratto al mercato gli impianti di recupero dei rifiuti organici.
Ma come si è giunti a questo punto?
Ad inizio anno, sia il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Lombardia che quello dell’Emilia-Romagna, si erano espressi, in ben tre occasioni, in maniera negativa sull’impianto tariffario predisposto dall’Autorità con la predetta delibera. Sono stati successivamente prodotti altri due orientamenti, che in maniera analoga, censurano la tariffazione ARERA sugli impianti.
ARERA, per tutta risposta, aveva effettuato un ricorso nei confronti del Consiglio di Stato.
Il minimo comune denominatore dei pronunciamenti regionali era quello, secondo il quale la regolamentazione tariffaria non trova, da un lato, riscontro, nella normativa primaria; dall’altro, risulta di competenza dello Stato.
In pratica, né ad ARERA, né alle Regioni, spetterebbe il compito di individuare impianti “minimi” da sottrarre al libero mercato per assoggettarli al regime di tariffe concordate e flussi prestabiliti.
Al contrario la facoltà spetterebbe allo Stato, e quindi, sul punto, al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE).
Quest’ultimo avrebbe dovuto esercitarla nell’ambito dell’adozione del Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti, e solo a quel punto ARERA avrebbe potuto (e dovuto) disciplinare l’ambito tariffario, secondo la competenza che le è attribuita dall’ordinamento: in tal senso il Parlamento, mediante la Commissione Ambiente del Senato ha svolto, ad inizio Luglio, un ciclo di audizioni sul tema, invocando peraltro l’eliminazione dei “minimi”.
Senza dubbio il pronunciamento appare coerente con l’iniziativa ministeriale: infatti il PNGR viene creato con l’intento di stabilire, tra le altre cose, i fabbisogni impiantistici in modo tale da equilibrare il tessuto impiantistico nazionale e assicurare il principio di prossimità.
La posizione del CdS
In estrema sintesi, con la Sentenza, il Consiglio afferma che, il principio di prossimità – tra quelli fondanti la disciplina – riguardante la contiguità degli impianti di trattamento dei rifiuti al luogo dove essi sono prodotti, non può comprimere la concorrenza.
Il TAR Emilia-Romagna ricordava che, in virtu’ della classificazione come “minimi”:
- Gli impianti vengono sottratti alla libera concorrenza;
- i flussi in entrata:
- vengono assegnati in maniera “autoritativa” a impianti ben precisi;
- vengono assoggettati a un regime di flussi prestabiliti e tariffe regolate, laddove essi dovrebbero viaggiare liberamente sul territorio nazionale, laddove raccolti (come nel caso esaminato, quello della FORSU), in maniera separata.
Il Consiglio di Stato conferma tale impostazione, ricordando che “la regola che si impone in materia di “gestione ed erogazione dei servizi di gestione integrata dei rifiuti urbani” è quella, improntata alla concorrenza, dell’affidamento mediante gara“.
Allo stesso tempo è bene sottolineare che:
- La delibera sulla quale si è espressa il CdS interessa, fra gli impianti individuati come “minimi”, una particolare categoria, con riferimento a quelli che realizzano le attività di compostaggio e di digestione anaerobica;
- Il CdS non ha provveduto, tout-court, a censurare il meccanismo predisposto dall’Autorità con la Delibera di cui sopra, ma unicamente la sua applicazione da parte degli uffici tecnici dell’Emilia-Romagna.
Pertanto, il Consiglio, con tale pronunciamento, non chiude, per ora, in maniera definitiva al metodo tariffario 2 di ARERA.
Il Ricorso di ARERA
Per avere una posizione definitiva sul punto, occorre attendere l’esito del ricorso di ARERA, previsto per il prossimo dicembre.
La posizione di Confindustria Cisambiente sui “minimi”
Nel luglio 2023, proprio nell’ottica di una revisione del Programma Nazionale Gestione Rifiuti (PNGR), Confindustria Cisambiente, l’associazione di Confindustria che tutela gli interessi delle Aziende attive nel campo dell’igiene ambientale, era stata audita presso la Commissione Ambiente del Senato, esprimendo le proprie valutazioni su tale categoria di impianti.
Confindustria Cisambiente è concorde con chi afferma che la inclusione di un impianto all’interno dei “minimi” soffoca il principio di libera concorrenza: in presenza di tariffe amministrate, viene equiparato, sostanzialmente, l’impianto di trattamento privato ad uno pubblico, e non si prevede affatto – come avviene nella pratica – che vi siano dinamiche di mercato tali da non garantire la costanza dei flussi in ingresso.
Inoltre, così facendo, si riduce, del tutto o in parte la platea delle imprese che fanno parte del c.d. “indotto”, come ad esempio la figura dell’intermediario commerciale che, in assenza di una tariffa di mercato, non può lucrare extra-profitti.
Inoltre, è bene sottolineare altri limiti relativi alla scelta di classificare un impianto come minimo, secondo l’attuale deliberazione sul punto:
- essa avviene unilateralmente, senza contraddittorio, e senza, teoricamente, la possibilità che il Gestore possa declinare;
- laddove essa avvenga, non è chiaro se il gestore possa rifiutare o meno, ed eventuali meccanismi sanzionatori;
- essa impone l’applicazione di rigidi protocolli di certezza, con riferimento alla “verifica e trasparenza dei costi”, che i dati siano “validati e rinvenienti da fonti contabili obbligatorie”, e che i corrispettivi siano soggetti ad un “limite di crescita”;
- Essa avviene – in particolare nelle zone meridionali del Paese – in carenza di programmazione da parte degli enti regionali, anche in zone – vedi il meridione del Paese – in cui viene impedita la reale costanza dei flussi in ingresso ai medesimi impianti;
- Essa non chiarisce gli impegni che la controparte del gestore “minimo” deve assumere;
- Essa non chiarisce se il comune, deputato – per il principio di competenza territoriale – sia obbligato a conferire o meno agli impianti minimi;
- Essendo biennale, unitamente al rispetto di forme di regolazione tariffaria, impedisce al gestore “minimo” qualsiasi attività di programmazione degli investimenti e di crescita aziendale.
In conclusione, i limiti di questa impostazione, che impedisce l’applicazione di tariffe correlate alle logiche di mercato, derivano da:
- totale assenza di qualsiasi forma di garanzia, nei confronti del gestore individuato come “minimo” per sopravvivere in tale mercato;
- mancanza di autonomia decisionale, laddove i suoi investimenti sono decisi da altri che stabiliscono pure la remunerazione.